Il vino italiano tra export, dazi, Brexit

Il vino italiano tra export, dazi, Brexit
29 Luglio 2019 Michele

Questioni ancora irrisolte sul fronte interno

Federvini: semplificazione normativa, i nodi da sciogliere

Lo scenario commerciale internazionale è pieno di incertezze tra minacce di dazi dall’amministrazione Usa, tendenze protezionistiche in vari Paesi, e l’incertezza della Brexit in un mercato fondamentale come il Regno Unito. Anche per questo l’Italia del vino deve ricevere maggior aiuto dalle istituzioni, con la definizione di una strategia nazionale per la promozione e conquistando anche maggior peso politico in Europa. È il messaggio lanciato dal presidente di Federvini, Sandro Boscaini, nella tavola rotonda moderata dal giornalista e produttore di vino Bruno Vespa, nell’assemblea nazionale dell’organizzazione, oggi a Roma.
“Vogliamo un’Europa che aiuti globalmente la produzione agroalimentare – ha detto Boscaini – e l’Italia, soprattutto nel vino, deve essere in grado di dettare l’agenda, non di seguirla. Ci auguriamo che i nuovi equilibri comunitari ci vedano più protagonisti di quanto siamo stati finora”.
Dalle istituzioni la filiera si augura un tempismo maggiore nell’erogazione dei fondi Ocm, sopratutto per la promozione nei Paesi terzi, e il presidente di Federvini osserva anche come da parte delle stesse imprese “ci deve essere maggiore assunzione di responsabilità”, investendo per esempio di più sulle infrastrutture digitali che sono fondamentali per “essere connessi con il mondo” e in uno scenario “dove l’export, per il nostro settore, è ossigeno vitale”.
Un certo ritardo nella digitalizzazione, ma anche la troppa frammentazione non solo nella struttura del tessuto produttivo del Belpaese, ma anche nella strategia di promozione del vino italiano, sono i punti critici sottolineati da Federvini. Con Boscaini che, guardando al mercato interno, ha auspicato, da parte delle istituzioni, alla “cautela nella scelta delle leve fiscali, perché sacrifici dobbiamo farli, ma equi, che non portino nocumento alla produzione”. Un riferimento tutt’altro che velato al possibile aumento dell’Iva in Italia, che di certo non gioverebbe ai consumi nel loro complesso.
Ma oltre al peso del fisco, ci sono anche le normative frammentate a ostacolare la crescita del settore. “ Le normative regionali devono essere coordinate tra di loro – ha detto il presidente di Federvini – e ci vuole anche un colloquio più chiaro tra Stato e Regioni. Anche nelle ordinanze locali sui divieti all’alcol non devono esserci fughe in avanti da parte dei Comuni, perché possono nuocere alle nostre attività. Sul consumo di alcol ci vuole educazione, certamente, e moderazione, ma non una strategia punitiva “a priori””.
“Il vino no è nocivo in sé, come lo è invece una sigaretta – ha rilanciato Vespa – guai se arrivassimo a scrivere sulla bottiglia “Attenti fa male!”, sarebbe un errore”. Ma tra un appello alla maggiore unità della filiera e alla semplificazione normativa, e uno al non cedere alle pressioni proibizionistiche che ciclicamente tornano a far sentire la loro voce, uno dei grandi temi, per la filiera del vino, è quello della creazione del valore.
“Per il settore è necessario riportare l’accento su questo aspetto – ha detto il presidente del Gruppo Vino di Federvini, Piero Mastroberardino – visto che si fanno tanti investimenti. E ci vuole più continuità nella promozione, l’allocazione delle risorse non può essere estemporanea, perché penalizza”. E sul tema delle autorizzazioni agli impianti di nuovi vigneti, consentiti ogni anno al massimo nella misura dell’1% sul totale nazionale, secondo il regolamento Ue, plafond insufficiente secondo molti (con le richieste che superano sempre di gran lunga le superfici disponibili, ndr), secondo Mastroberardino e Federvini, la cosa più importante non è la quantità, quanto mettere a punto “un sistema che faccia sprigionare alla filiera il suo vero valore”.

Fondamentale, però, che la filiera trovi maggiore unità al suo interno, come ribadito, in veste di osservatore, ma anche di produttore, da Vespa: “per creare valore dobbiamo smettere di vedere vini italiani che allo scaffale costano 2 euro. Ma soprattutto, dobbiamo fare squadra, e l’esempio, come sempre, viene dai francesi: è impossibile trovare un produttore francese che in pubblico parla male di un suo collega. Possiamo dire lo stesso degli italiani?”.
Appello quanto mai condivisibile, anche perché, ha ricordato Boscaini, “ il settore presenta tante diversità, ma deve camminare sotto la bandiera unica del made in Italy”. Ma tante, per il vino italiano, sono le questioni da affrontare per poter crescere ancora: “dall’importanza di completare la piena operatività del Testo Unico della Vite e del Vino, visto che a due anni dalla sua entrata in vigore mancano ancora alcune disposizioni applicative, alla tutela della proprietà intellettuale, che è materia di costante apprensione perché da essa dipendono le nostre denominazioni ed indicazioni geografiche ed i nostri marchi: la loro difesa e la loro salvaguardia restano cruciali per preservare il valore delle nostre eccellenze”.
E intanto, anche il mondo degli spiriti e gli aceti ha fatto il punto della situazione, mettendo l‘accento sulle soddisfazioni che giungono dall’export e le preoccupazioni per i rischi commerciali procurati da dazi e Brexit. “ È un momento di difficoltà”, ha osservato Micaela Pallini, presidente del Gruppo Spiriti di Federvini, soffermandosi sulla minaccia dazi da parte degli Usa, primo mercato di riferimento per l’export e con una continua crescita che sta premiando per esempio il momento dell’aperitivo, con lo spritz che è diventato “ un fenomeno di cui parlano i principali media”. E anche anche per quell’importante nicchia del made in Italy che è l’aceto balsamico di Modena l’affacciarsi dei dazi Usa “sarebbe terrificante”, ha osservato Sabrina Federzoni, presidente del Gruppo Aceti di Federvini, rilevando comunque come problemi commerciali ci siano anche in Europa dove “non c’è una protezione chiara ed efficace”, a cominciare dalla difesa dalla contraffazione.

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